Frammenti

  1. Ma le definizioni servono (a me)?

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    Mi sembra abbastanza chiaro che io abbia un problema con le definizioni.
    Il che mi fa ridere - anche no, in realtà - visto che poco tempo fa dicevo con sicurezza, in più di una conversazione cuore a cuore assolutamente sincera, che a me le definizioni stanno strette.
    Che poi, non è che sia falso. Per questo dico di avere un problema.
    O forse lo è e non mi accorgo di essere ipocrita
    Perché è vero che non me ne può fregare di meno di applicare una definizione ad una singola persona, o a me stessa se è per questo. È vero, qualche anno fa non ho dormito per mesi cercando di capire se indugiassi a guardare le foto di Scarlett Johansson perché volevo essere lei o perché volessi farmi lei, ma lì era più che altro l’incertezza a tormentarmi. L’idea di non conoscermi più, ecco, quando credevo di essere tranquilla almeno su quello.
    Figures.
    Dicevo. Forse è meglio dire che mi stanno strette le etichette. Perché quelle vengono appioppate alle persone pretendendo di rinchiuderle in uno schema predefinito di caratteristiche, di comportamenti o salcazzo che altro. E come fai a chiudere un essere umano in continua evoluzione in una scatoletta? Dai. “Sei xyz e quindi sei così”. Come mi sta sul culo.
    Evidentemente questo non si applica alla definizione dei rapporti.
    Potrei parlarne all’analista, e probabilmente risalirei al solito vecchio nodo del “non voglio che le persone che amo se ne vadano”. Ma va, sticazzi? Chi vuole? Eh. Sarà incredibilmente egoistico, ma dare un nome ad un rapporto - per me - in qualche modo è come avere una corda in più che mi tiene legata a quella/e persona/e. È anche stupido, lo so bene: non è certo il nome a fare un rapporto, anzi, è forse l’ultima cosa. Però, non lo so.
    Forse, quel nome può dargli un valore aggiunto.
    Sono pur sempre nata in questa società, e sono abbastanza lucida da riconoscere quanto le convenzioni sociali siano radicate nel mio modo di essere. Quindi sì, il termine fidanzato o moroso, che dir si voglia, mi fa sorridere. Mi aumenta il calore nel petto, perché porta con sé tutta una serie di cose che non credevo sarei riuscita ad avere nella mia vita.
    Toglierlo o cambiarlo non cambia quello che sento, né cambia il legame in sé.
    Eppure ne sento la mancanza.
    (In tutto ciò, non ho ancora capito che razza di post sia questo. Se un esame di coscienza, un semplice interrogativo sul mio modo di vivere le definizioni, boh. Forse è solo la PMS mista all’ansia per l’esame che ho ormaitramenodiunasettimana e per cui mi sembra di non essere minimamente pronta a farmi pesare questa cosa, stasera. Ieri stavo bene. Chissà.)
    Che poi, mi manca per cose molto triviali. Tipo che: ma se io volessi dirlo/parlarne con Tale/Tizio/Caio, allora come faccio? In questo caso il mio è un problema pratico.
    Quindi torniamo all’annoso problema, no?
    Mi piace o no avere una definizione per i rapporti? Sì, anch...

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    Last Post by ChoAyako il 21 Jan. 2016
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  2. Sul fondo del lago

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    riflessioni
    By ChoAyako il 24 Mar. 2014
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    Sono ormai sei mesi che vado dall'analista.
    E' difficile dire quanto serva, quanto io sia riuscita a lavorare effettivamente sui miei problemi in questo periodo. Ci è voluto del tempo perché io arrivassi a fidarmi di lui al punto da parlargli delle cose davvero importanti. Ancora adesso ci sono delle volte in cui devo rigirarmi in testa delle frasi più e più volte prima di trovare il coraggio di dirle a voce alta. E’ normale, lo so.

    L’ultima seduta è stata pesante. Alcuni giorni sono così. Sei lì, parli e detesti ogni minuto, non vedi l'ora che finisca, arrivi alla fine dell’ora distrutta come se avessi corso una maratona. Eppure esci ringraziando perché finalmente sei riuscita a sputar fuori quello schifo, o ad ammettere cose a te stessa.

    L’ultima seduta è stata il giorno dopo la festa del papà, è normale che sia stata pesante. Non importa che io non abbia mai dato grande importanza a queste occasioni, a parte quando ero alle elementari e mi facevano fare delle cosine nelle ore di lezione. Non importa che io non ci sia effettivamente stata stata male per l’assenza di un padre a cui fare gli auguri. E’ stato un appiglio sufficiente per finire a parlare di lui.
    Eppure sono soddisfatta. Nonostante le difficoltà, nonostante le lacrime, dopo mesi qualcosa è cambiato nel mio monotono spiegare i miei sentimenti nei suoi confronti. E' sempre un groviglio complicato di "è stato uno stronzo, non capisco perché, però è sempre mio padre, vorrei non sentirlo più, non riesco a non volergli ancora bene e a starci male, ma se è stato stronzo magari è colpa mia", eccetera. Tutto quello c'è sempre. Ma adesso riesco a vedere il trauma e la paura dell'abbandono dietro ad un sacco di mie scelte. Sembra banale e scontato, eppure non me ne ero mai accorta. O meglio, a volte me ne rendevo conto, ma rimuovevo puntualmente. Temo che la mia testa abbia meccanismi psichici di difesa più forti del previsto.
    Il grande cambiamento, comunque, è stato un singolo, lucido pensiero.
    L’ho pensato davvero, per la prima volta, ammettendolo a voce alta.
    “Lo odio per avermi fatto questo".
    Chi può dire sia una cosa positiva o negativa. So, però, che è la prima grande emozione che riesco ad esprimere nei suoi confronti da mesi. Prima c'era semplicemente del vuoto. “Ma come ti fa sentire pensare alle scelte di tuo padre?”, mi chiedevano. E io rimanevo a fissare la scrivania, senza riuscire a trovare una risposta.
    E’ qualcosa. E’ un passo avanti.
    Il mio inconscio, al momento, è come un lago sul cui fondo si è accumulato un mucchio di schifo. Sopra a questo schifo ho messo, più o meno volontariamente, delle cose che potessero coprirlo, per evitare di farlo vedere e di farmi male io stessa, inciampandoci. Diciamo che sono alghe e limo. Quello che ho fatto in questi mesi è stato togliere la copertura e quello che ho fatto l’ultima volta è stato inizia...

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    Last Post by Ruri il 24 Mar. 2014
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  3. Di ricordi e discorsi senza capo né coda.

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    Oggi ho riletto il Gaiden.

    E’ già la seconda volta questo mese, anche se la prima volta non ce l’ho fatta ad arrivare fino al quarto volumetto.
    Questo è effettivamente un periodo di riscoperta di vecchie cose. Il mese scorso c’è stato il rewatch de Il Signore degli Anelli e mi sono ricomprata sia Il Silmarillion che la raccolta di Earthsea.

    E’ strano e allo stesso tempo bello ritrovare queste cose. Sono opere che, in un modo o nell’altro, mi hanno formata e mi sono rimaste dentro, anche se in modi diversi. Non è un caso che siano le uniche in grado di farmi piangere con una singola scena a distanza di anni. Sono una persona che si commuove facilmente per le cose finzionali, è vero, ma piangere per davvero è raro; mi succede con la scena dell’addio ai Porti Grigi nel Signore degli Anelli e mi succede con il finale del Gaiden, generalmente all’abbraccio di Kanzeon a Goku. Probabilmente ci sono altre cose in grado di farmi piangere, ma al momento non mi vengono in mente. Per ora ho riscoperto queste.
    Sono cambiata tantissimo, soprattutto negli ultimi anni. Ho superato cose e ho avuto un’evoluzione di cui sono, se non fiera, almeno soddisfatta. E sono curiosa di scoprire cosa potrà portarmi questa riscoperta del “vecchio”: l’ultima volta che era successo era capitato con Saint Seiya e si può dire che quella riscoperta è stata fondamentale per la persona che sono ora.

    E’ curioso vedere anche come è cambiato il mio modo di approcciare questi lavori: la prima volta che li ho letti ero piccola, non mi interessava trovare i simbolismi, i significati dietro alle frasi e tutte queste belle cose. Non cercavo neanche una riflessione, ad essere sincera. Eppure mi sono arrivate comunque. La me diciassettenne ha passato più di un pomeriggio ad interrogarsi sull’esatto significato dell’espressione “non avere nulla”. E ha poi continuato anche anni dopo, senza mai giungere ad una risposta univoca, perché il modo di vedere le cose si è evoluto con lei. E’ curioso e bello vedere, a distanza di anni, la profondità che avevo colto inconsciamente allora. E ricercarla invece attivamente.
    E’ disturbante e sconcertante notare dei pattern dentro di sé.

    La cosa più bella, comunque, è il fare questo percorso in compagnia. Non sono da sola in questo viaggio sulla strada dei ricordi, ed è meraviglioso. Ci sono cose che fanno male, ma so che mi basta girarmi per trovare qualcuno che capisce e condivide.
    Sono felice in un modo che faccio fatica ad esprimere. Della mia casa e della mia bellissima Jeep. E, con tutta la negatività provata ultimamente, mi sembrava bello urlarlo al mondo.
    Last Post by Kia1 il 14 Mar. 2014
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  4. Pantano

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    “Io non mi fermo perché se no è la fine. Ma mi sto evidentemente trascinando e non mi piace. Quasi sarebbe stato meglio se avessi perso l'anno.”
    Stavo dicendo questo poco fa, spiegando la situazione schifosa in cui mi trovo.
    Che poi, schifosa. Sono al quarto anno della Facoltà di Medicina. A Pavia. In inglese. Credo che mi sia concesso fare un po’ di fatica, ma chissà perché questo pensiero non mi consola per niente. Forse perché per la mia testa continua ad essere inconcepibile il fare fatica nello studio, forse perché è una cosa che dovrei riuscire a fare e basta. Forse perché ho puntato troppo, quattro anni fa, in questo percorso.
    Dico che forse sarebbe stato meglio perdere direttamente l'anno perché in tal caso, almeno, sarebbe stato un vero e proprio ricominciare da capo. Un punto e a capo, se non un delete. Un "questo paragrafo non mi convince, teniamo buona l'idea di fondo e riscriviamolo". Così invece mi sembra sempre di arrancare dietro a qualcosa.

    Mi sento in un pantano.
    Ogni passo che muovo mi costa moltissima fatica, come se venissi risucchiata nel fango; poi, ogni tanto, quel passo riesco a farlo e mi sento improvvisamente più leggera, libera da quella immobilità. E la sensazione di leggerezza provata per il non essere più risucchiata da quel fango è tale che mi esalto, dimenticandomi che il pantano è sempre lì. E ci ricado, col passo successivo, per ricominciare tutto da capo. A questo si aggiunge, poi, che devo rendere conto di ogni azione a terzi; ed è vero che la maggior parte di loro non mi fa pesare gli errori, le scelte sbagliate o quelle non fatte, ma diventa pesante comunque. Perché ho sempre la sensazione di aver deluso non solo me stessa ma loro.
    Qualcuno mi dice che dovrei essere orgogliosa di me stessa per il semplice fatto di continuare a camminare.
    Non ne sono così sicura.

    Forse è solo che oggi è un umore così. Quell’umore che mi fa guardare gli altri e mi fa chiedere perché io debba fare così tanta fatica, quando loro riescono a cavarsela tranquillamente (stupida, stupida me, come se non lo sapessi che anche gli altri si spaccano la schiena sui libri).
    Forse sono solo spaventata dal futuro. Forse temo che questa strada sia diventata una questione di principio, forse ho davvero paura di tutte le responsabilità che vedo profilarsi all’orizzonte.
    Forse sono tutti questi forse a spaventarmi.

    L’unica cosa che riesco a fare al momento è aggrapparmi alle persone che amo e ringraziare - chi o cosa non lo so - per averle accanto. A volte ci penso, rendendomi davvero conto di avere accanto persone che tengono a me così tanto, e faccio fatica a crederci. C’è una così grande differenza fra la stima che provo per loro e quella che provo per me che mi lascia allibita tutte le volte realizzare che vogliono davvero stare con me.
    E' vero che sono migliorata n...

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    Last Post by ChoAyako il 24 Feb. 2014
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Marie was skinned by Niruh