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Replying to Sul fondo del lago

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  1. Posted 24/3/2014, 18:01
    E noi ci siamo apposta per trascinarci l'un l'altro quando serve.

    In sostanza, facciamo la conga.
  2. Posted 24/3/2014, 14:32
    Andare avanti è la cosa più faticosa che sto facendo, ci sono giorni in cui mi drena fisicamente le energie.
    Se ci riesco, è anche perché ho vicine persone come voi. <3
  3. Posted 24/3/2014, 13:34
    Questa AU comincia ad inquietarmi.

    Sai come ci troviamo entrambe con i padri. E tu continui ad andare avanti, anche se il lavoro è davvero tanto da fare non importa, perché vai comunque avanti. Solo una cosa so, per esperienza: non ci vuole coraggio per ferire la gente. Neanche chi se lo merita. Tutto quel coraggio che pensi di avere solo in potenza, in realtà lo stai già usando. Altrimenti non saresti a spalare il fondo del tuo lago. <3
  4. Posted 24/3/2014, 12:13
    Però tu vuoi. E finché vuoi, stai camminando in avanti. Seriamente. Ti ammiro come sempre e anche di più, un bacio.
  5. Posted 24/3/2014, 02:11
    Sono ormai sei mesi che vado dall'analista.
    E' difficile dire quanto serva, quanto io sia riuscita a lavorare effettivamente sui miei problemi in questo periodo. Ci è voluto del tempo perché io arrivassi a fidarmi di lui al punto da parlargli delle cose davvero importanti. Ancora adesso ci sono delle volte in cui devo rigirarmi in testa delle frasi più e più volte prima di trovare il coraggio di dirle a voce alta. E’ normale, lo so.

    L’ultima seduta è stata pesante. Alcuni giorni sono così. Sei lì, parli e detesti ogni minuto, non vedi l'ora che finisca, arrivi alla fine dell’ora distrutta come se avessi corso una maratona. Eppure esci ringraziando perché finalmente sei riuscita a sputar fuori quello schifo, o ad ammettere cose a te stessa.

    L’ultima seduta è stata il giorno dopo la festa del papà, è normale che sia stata pesante. Non importa che io non abbia mai dato grande importanza a queste occasioni, a parte quando ero alle elementari e mi facevano fare delle cosine nelle ore di lezione. Non importa che io non ci sia effettivamente stata stata male per l’assenza di un padre a cui fare gli auguri. E’ stato un appiglio sufficiente per finire a parlare di lui.
    Eppure sono soddisfatta. Nonostante le difficoltà, nonostante le lacrime, dopo mesi qualcosa è cambiato nel mio monotono spiegare i miei sentimenti nei suoi confronti. E' sempre un groviglio complicato di "è stato uno stronzo, non capisco perché, però è sempre mio padre, vorrei non sentirlo più, non riesco a non volergli ancora bene e a starci male, ma se è stato stronzo magari è colpa mia", eccetera. Tutto quello c'è sempre. Ma adesso riesco a vedere il trauma e la paura dell'abbandono dietro ad un sacco di mie scelte. Sembra banale e scontato, eppure non me ne ero mai accorta. O meglio, a volte me ne rendevo conto, ma rimuovevo puntualmente. Temo che la mia testa abbia meccanismi psichici di difesa più forti del previsto.
    Il grande cambiamento, comunque, è stato un singolo, lucido pensiero.
    L’ho pensato davvero, per la prima volta, ammettendolo a voce alta.
    “Lo odio per avermi fatto questo".
    Chi può dire sia una cosa positiva o negativa. So, però, che è la prima grande emozione che riesco ad esprimere nei suoi confronti da mesi. Prima c'era semplicemente del vuoto. “Ma come ti fa sentire pensare alle scelte di tuo padre?”, mi chiedevano. E io rimanevo a fissare la scrivania, senza riuscire a trovare una risposta.
    E’ qualcosa. E’ un passo avanti.
    Il mio inconscio, al momento, è come un lago sul cui fondo si è accumulato un mucchio di schifo. Sopra a questo schifo ho messo, più o meno volontariamente, delle cose che potessero coprirlo, per evitare di farlo vedere e di farmi male io stessa, inciampandoci. Diciamo che sono alghe e limo. Quello che ho fatto in questi mesi è stato togliere la copertura e quello che ho fatto l’ultima volta è stato iniziare a smuovere quello schifo: ci ho infilato una pala e l’ho sollevata, scoprendo che la melma andava molto più a fondo di quanto pensassi. Adesso l’acqua è tutta intorbidita. Quello che devo fare è continuare a scavare finché tutti quei detriti - quel veleno - non saranno rimossi. O almeno la maggior parte. Dopodiché, inizierò a ripulire l’acqua. La sola idea mi stanca e rattrappisce, ma so di averne bisogno. Proviamoci. Andiamo avanti.

    Sempre a proposito di introspezione - che non ve ne fregherà niente, oh, ma il blog è mio e la sua funzione è permettermi di mettere ordine nei miei pensieri -, qualche giorno fa stavo ripulendo la rubrica del cellulare. Ecco, fare una pulizia del genere può essere più difficile del previsto, specialmente se la rubrica non veniva toccata da anni.
    E' un tuffo indietro nel tempo, un ritornare ad anni passati che magari non vuoi neanche rivivere; ti mette di fronte alla quantità di gente che conoscevi e che hai perso di vista, alle amicizie che credevi sarebbero durate per sempre - nell'ingenuità dei quattordici anni - e che invece si sono perse di vista dopo un niente.
    Ti mette di fronte a quello che hai perso e a quello che hai trovato.
    Accanto ai nomi dei compagni delle medie o delle superiori che non sento più (scritti, fra parentesi, in modo improponibile), ho trovato altro. Ho trovato tutti i numeri di telefono di mio padre, certo, salvati come "papi" e "papi casa" e così via. Quelli della sua compagna, o forse dovrei dire moglie, salvati con quel terribile diminutivo che è "Tarci". E ho trovato il numero di casa della mia bisnonna, che è venuta a mancare ormai quattro anni fa. Era salvato come Nonna Bis, come l'ho sempre chiamata.
    Sono già passati quattro anni, e ancora non riesco a rendermene bene conto. Forse perché anche prima non la vedevo tantissimo, forse perché non passo mai davanti a quella che è stata casa sua. Ma ricorderò sempre il senso di vuoto provato quando ci sono entrata, un mese dopo il funerale, trovandola già mezza smantellata per prepararla per un possibile futuro affittuario. C'erano ancora cose sue, in giro: libri, quadri, un paio di foto. Il mobile dove appoggiava i cappelli.
    Non ci sono più entrata da allora. Non voglio neanche farlo. Preferisco ricordarmi la sala com’era: un po’ buia, la televisione in un angolo, un grande mobile dove teneva le matite colorate con cui disegnavo ogni volta che andavo a trovarla e la poltrona su cui sedeva sempre, da cui mi guardava con quegli occhi azzurrissimi che sono rimasti vispi e attenti fino alla fine. Sono ricordi preziosi che non voglio vengano intaccati.

    Ho trovato tutte queste cose, in quella rubrica. Ma accanto ad esse c’erano nomi nuovi. Nomi che mi fanno sorridere solo a leggerli. Nomi che so che ci saranno sempre. Le persone se ne vanno, le persone arrivano. Alcune, quelle importanti, restano.

    Questo non vuole essere un post per piangermi addosso. Non sono triste, sto solo valutando certi aspetti di me stessa con sguardo abbastanza clinico. Sono colpita da quanto in fretta passi il tempo senza che ce ne accorgiamo. Da quanto le situazioni e i rapporti possano cambiare, da quanto persone che ritenevamo importanti per noi si allontanino senza lasciare più che un ricordo. Eppure tutte queste cose ti cambiano, anche impercettibilmente. Guardando la me stessa di allora, mi rendo conto di essere cresciuta tantissimo, e sono particolarmente fiera di questo cambiamento. Ho così tanta strada da fare, ancora, per livellare certi difetti di carattere che detesto, ma la me stessa di oggi non è per niente paragonabile a quella di allora. Fortunatamente, direi. E’ anche normale. Se fossi rimasta bloccata a quello stadio mi preoccuperei molto.

    Mi faccio ancora dei film mentali su me stessa che non corrispondono neanche lontanamente alla realtà. Forse la me stessa mentale è una possibile me stessa in atto, che potrebbe esistere se solo fossi meno rigida, se avessi più coraggio nel buttarmi nelle cose. O forse è una me stessa che non potrebbe mai esistere, una proiezione della mia mente, come io vorrei essere. Forse non sono cresciuta poi così tanto e voglio ancora essere qualcun altro. Non qualcuno di specifico, ma qualcuno di diverso da quella che sono ora.
    Questi sono i tipi di pensieri cupi che mi vengono quando mi sento senza via d’uscite. Sono una maestra nel vedere e nel pensare il peggio delle situazioni. Sono i tipi di pensieri che smentisco in genere appena ritrovo un minimo di lucidità. Posso dire che la me stessa di adesso, in linea di massima, mi piace. Non sono perfetta, per niente. Ho una montagna di difetti accumulati l’uno sull’altro e nascosti con tanta cura nel corso degli anni. Sto cercando di togliere quelle maschere e di correggere quello che posso senza perdere me stessa.
    Forse sto ancora cercando di capire chi sono.

    Forse quella Silvia che esiste nella mia testa non esisterà mai perché non avrò mai il coraggio di fare le cose che fa lei.
    Che poi, coraggio.
    La Silvia nella mia testa è in grado di guardare in faccia suo padre e di rovesciargli addosso tutto lo schifo che ha subito nel corso degli anni. E’ in grado di dirgli, per filo e per segno, ogni volta in cui ha dovuto subire i suoi capricci. Vuole smontarlo pezzo per pezzo, colpire là dove può fargli più male per fargli provare quello che ha provato lei per anni. Lasciarlo senza difese e senza parole, sfogarsi fino in fondo.
    La Silvia di adesso ha dentro tutto questo in potenza. Forse un po’ mi spaventa, il livello di violenza verbale e soprattutto psicologica di cui sarei capace.
    Ora come ora, comunque, non sono neanche in grado di prendere in considerazione l’idea di vedere mio padre, figuriamoci fare una cosa del genere. Ma sono parole che mi sono tenuta dentro per anni, che hanno ristagnato e si sono inasprite. Chissà se un giorno, trovandomelo davanti e messa alle strette, io non finisca per pronunciarle davvero. Si tratta comunque di violenza repressa.
    Chissà se allora il vero coraggio sarà dirle o non dirle.

    Volevo parlare di altro e invece alla fine il discorso finisce sempre su mio padre. I nodi sono lì, d’altronde, ed essendo questo un blog nato principalmente per dare uno sfogo ai miei pensieri forse era anche ora che ne parlassi.
    Whatever.
    E’ tardi, sono le due di notte, domani - oggi - devo studiare.
    Non rileggerò neanche, ho troppo sonno per farlo. Spero solo che tutto ciò abbia almeno un senso grammaticale.

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